Monologhi

Contro la cultura della sicurezza

Scritto da Damiano Bondi

Nella cultura imperante della sicurezza, pensiamo ci sia bisogno di una provocazione critica fuori dal coro. Non tanto per negare in generale il valore della sicurezza, figuriamoci, quanto per mettere in discussione la posizione di chi ne vuol fare un ideale assoluto, un’ossessione, e così tentare di riequilibrare un po’ le cose.

L’ultima trovata è questa. Vuoi organizzare una festa contadina con il palo della cuccagna, con quei bei prosciutti appesi in alto su un palo di legno e la gente che per vincerli deve arrampicarsi e salire fino in cima?

Bene, per questioni di “sicurezza” la polizia municipale ti dice che sarebbe opportuno appendere un cartello sul palo stesso con su scritto…. “NON SALIRE”.

È solo un esempio, paradossale ma non troppo (si pensi a “Il fumo uccide” sui pacchetti di sigarette), di una tendenza decennale divenuta ormai ipertrofica della nostra società: quella verso la sicurezza ad ogni costo. Chi lavora deve seguire corsi obbligatori sulla sicurezza nei posti di lavoro; chi tiene i corsi sulla sicurezza nei posti di lavoro deve seguire corsi sulla sicurezza per formatori; chi vuole organizzare anche la più piccola manifestazione di paese deve avere steward per la sicurezza,  camionette per bloccare le strade, dichiarazioni di conformità dei palchi, delle luci, degli impianti audio; chi organizza un campo estivo con i ragazzi deve avere seguito il corso HACCP, il corso antiincendio, il corso di primo soccorso, e possedere l’autorizzazione del comune, della polizia, dei carabinieri forestali.

Ovviamente gli attentati terroristici di questi ultimi anni hanno ulteriormente esasperato questa tendenza, ma essa era già parte da anni della nostra cultura. Chiariamoci: non stiamo combattendo la sana preoccupazione per la sicurezza dei lavoratori, dei partecipanti ad eventi sociali e dei frequentatori di ambienti pubblici. Stiamo però ponendo l’attenzione critica sull’idealizzazione degenerante di questa preoccupazione, che a sua volta genera paradossali perversità. Eccone ad esempio due:

  1. La ingestibile burocratizzazione di questi processi, che fa perdere la voglia di fare le cose, organizzare eventi, prendersi cura degli altri e del posto dove si vive. La quantità di fogli da compilare per organizzatori e responsabili, spesso volontari, è veramente fuori misura, incontrollabile e imprevedibile. Le pubbliche amministrazioni peccano di poca chiarezza e comunicazione in merito ai processi normativi da seguire, e alla fine si produce un nevrotico far west rivestito da legalità radicale.
  2. La percezione che in realtà il clamore per l’importanza della sicurezza di risolva sovente in una volontà di scaricare problemi, di deresponsabilizzarsi a vicenda, in un perverso gioco di scaricabarile tra amministrazioni locali, enti provinciali e regionali, organizzatori degli eventi. Questo va a discapito della qualità dei corsi “obbligatori” da seguire: non è importante il contenuto, quanto l’aver seguito quel tot di ore e avere il certificato. E quando si hanno tutti i permessi, basta aver segnalato l’eventuale pericolosità di qualcosa perché ci se ne possa lavare le mani, e si possa delegare tutto il pericolo alla volontà individuale di chi comunque sa che quella segnalazione è soltanto “di forma” … come nel caso del palo della cuccagna. Che fine fanno i divieti e le norme veramente di sostanza, in tutto ciò? Alla fine, quello che conta è essere “tutti a posto” per eventuali controlli, per evitare multe o addirittura processi: la sicurezza effettiva c’entra poco o niente.
A volte la sicurezza serve!

Tutto ciò va a cumularsi a una generale perdita di accettazione di quel minimo di “rischio” che fa uscire le persone dal chiuso delle proprie comode presunte sicurezze verso la pericolosa alterità, le scomode relazioni sociali, lo sgangherato posto dove si vive. Si perde quel pizzico di sana improvvisazione capace di risolvere gli inevitabili imprevisti. Si perde la capacità di convivere-con e fronteggiare la verità che nella vita non tutto è prevedibile e non tutto dipende da noi. Pensare di poter avere tutto sotto controllo non è meno illusorio di credere che tutto andrà bene sempre e comunque.

Andando avanti di questo passo, finiremo per scrivere “NON MANGIARE” sul cibo, “NON BERE” sulle bevande, “NON CAMMINARE” per le strade, “NON VIVERE” sulla pelle dei neonati… in effetti, vivendo, si potrebbe correre il rischio di morire, prima o poi.

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Damiano Bondi

5 commenti

  • Bisogna dire però, che oggi, sono tutti pronti a denunciare tutti per tutto…
    Una volta se ti facevi male ,che so, in un parcogiochi, i genitori ti dicevano ” un’altra volta ti svegli” ora i genitori, se si fa male il figlio, denunciano chiunque sia stato a un metro dallo stesso…..

    • Grazie per i vostri commenti!! Certo, la questione è molto più complessa e andrebbe affrontata da più fronti… noi lo facciamo da quello “concettuale”, diciamo!! Non è tutto, ma è qualcosa!

  • Condivido totalmente ciò che hai scritto. Ma é anche vero ciò che ha scritto Eros.
    È la legge che andrebbe modificata, bisognerebbe che prevedesse più responsabilitá per il singolo. Così com’è adesso è propio uno scarica barile.

  • Molto interessante il punto di vista che proponi, anche se rimangono aperte mille questioni… vi lascio uno spunto per un ulteriore riflessione sul concetto di sicurezza ai tempi del coronavirus. Individualismo vs collettivismo ?! Siamo popolo di irriducibili incivili?! Perché ignoriamo la ns sicurezza e quella del prossimo?
    Io continuo a cercare le mie risposte…

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