Qualche giorno fa, la Chiesa cattolica ha celebrato la festa del Corpus Domini. Si tratta di una delle solennità più sentite dai fedeli, sia per lo stile popolare della celebrazione, sia per il suo significato, che richiama la presenza reale di Cristo nell’eucaristia. In questo sacramento, infatti, secondo la dottrina cattolica, «è contenuto veramente, realmente, sostanzialmente il Corpo e il Sangue di nostro Signore Gesù Cristo, con l’anima e la divinità e, quindi, il Cristo tutto intero» afferma il Catechismo della Chiesa cattolica. Il pane e il vino, specifica ancora il Catechismo, divengono corpo e sangue di Cristo mediante la consacrazione del ministro ordinato nella liturgia eucaristica, in cui «si opera la transustanziazione del pane e del vino nel Corpo e nel Sangue di Cristo. Sotto le specie consacrate del pane e del vino, Cristo stesso, vivente e glorioso, è presente in maniera vera, reale e sostanziale, il suo Corpo e Sangue con la sua anima e divinità».
Anche se l’abbiamo dimenticato, tale verità di fede ha generato discussioni accese non solo in ambito teologico – cosa del tutto naturale – ma ha toccato anche il dominio della filosofia e della scienza e, cosa ancor più sorprendente, contiene un profilo di attualità rispetto al dibattito filosofico e scientifico odierno. È molto istruttivo, a tal proposito, leggere le discussioni attorno all’eucaristia tra filosofi-scienziati e teologi. Molte di queste si concentrano su “qualità primarie” e “qualità secondarie”. Sembrano termini desueti, residui di dispute seicentesche innescate dalla rivoluzione scientifica, eppure una buona parte del dibattito scientifico e filosofico attuale si confronta ancora su questi temi (si veda ad esempio l’ambito la filosofia della mente, ma non soltanto).
“È molto istruttivo leggere le discussioni attorno all’eucaristia tra filosofi-scienziati e teologi“

Il dibattito sulla transustanziazione
Si può pensare ai celebri dibattiti di Cartesio coi suoi amici, in particolare il dialogo con Marin Marsenne o Antoine Arnauld, entrambi teologi e scienziati. Cartesio, del resto, ha riflettuto sull’eucarestia praticamente tutta la vita, anche se non sono in molti a ricordarlo. I dialoghi appena richiamati, vertevano anche sulle ricadute che la nuova fisica cartesiana poteva avere sul modo di leggere la transustanziazione. La dottrina classica della transustanziazione afferma, infatti, come abbiamo visto citando il Catechismo, che il pane e il vino mantengono intatte le “specie sensibili” (il colore, la forma, l’odore, il sapore, ecc.) eppure la sostanza muta, diventando corpo e sangue di Cristo. Come spiega Tommaso d’Aquino nella Summa theologica, il Corpo di Cristo è presente nel sacramento «per modum substantiae e non per modum quantitatis» (le dimensioni del pane e del vino non si convertono nelle dimensioni del corpo di Cristo, ma la sostanza si converte nella sostanza).
Ora, la visione di Cartesio, che richiama il pitagorismo platonico, si discosta dalla fisica aristotelica che la dottrina classica della transustanziazione sottende. La sostanza materiale (estensione), per Cartesio è connotata unicamente da attributi quantitativi come la dimensione e il numero: questi, le qualità primarie, disponendosi così e così danno luogo alle qualità secondarie (colore, sapore, ecc.). L’autore del Discorso sul metodo non era l’unica voce a mettere in dubbio la “fisica qualitativa” di Aristotele in favore di una “fisica quantitativa”, per la quale le differenze qualitative della natura potevano in definitiva essere ricondotte a differenze quantitative. Nei Principia Philosophiae, Cartesio scrive che «la natura della materia, o del corpo considerato in generale, non consiste nell’essere cosa dura o pesante o colorata o che colpisce i sensi in qualche altro modo, ma soltanto nell’essere cosa estesa in lunghezza, larghezza e profondità» per poi giungere ad affermare: «Confesso francamente che non conosco altra materia delle cose corporee che quella che può essere divisa, figurata e mossa in ogni sorta di modi, cioè quella che i geometri chiamano la quantità, e che prendono per oggetto delle loro dimostrazioni». D’ora in poi la fisica è fisica matematica: per Cartesio, i sensi ̶ purificati però dall’intelletto ̶ attestano che la natura è res extensa, pura estensione, spazialità e traslazione. La natura della materia consiste nell’essere una cosa estesa in lunghezza, larghezza e profondità. Ecco perché le qualità primarie sono le uniche ad essere conoscibili con certezza.
“Cartesio si discosta dalla fisica aristotelica che la dottrina classica della transustanziazione sottende“

Orbene, se gli accidenti (qualità secondarie) non sono separabili dalla sostanza o qualità primarie, in quanto diretta derivazione dal movimento di queste, la “fisica” o “filosofia naturale” su cui si basa la transustanziazione (che possiamo chiamare “ilemorfismo”) non c’è più. Insomma, dalla prospettiva cartesiana, ci si può chiedere: come possono continuare a esserci l’odore, il sapore, il colore e anche le dimensioni del pane e del vino, se la sostanza è mutata ed è divenuta corpo e sangue di Cristo? Il cambiamento di sostanza trascina con sé, inevitabilmente, il mutamento delle “specie sensibili” (o qualità secondarie). La disputa era insieme teologica, filosofica e scientifica (ricordiamo che nel 1647, l’Università di Caen emanò un documento in cui le idee del sistema cartesiano erano definite come saniori theologorum doctrinae contraria e nel 1663 l’opera di Cartesio fu messa all’Indice).
Una “nuova” concezione di natura
Il teologo Arnauld obiettava a Cartesio: «Prevedo però che ciò che offenderà di più i Teologi è che, secondo le convinzioni dell’Illustre Uomo, non possano restare salve ed integre le cose che la Chiesa insegna, sui sacrosanti misteri dell’Eucaristia. Noi crediamo per fede che, tolta dal pane Eucaristico la sostanza del pane, rimangano in esso i soli accidenti: ora questi sono l’estensione, la figura, il colore, l’odore, il sapore e tutte le altre qualità sensibili. L’Illustre Uomo ritiene che non ci siano qualità sensibili, ma solo vari movimenti dei corpuscoli che sono vicini a noi, per mezzo dei quali percepiamo le impressioni diverse che poi chiamiamo coi nomi di colore, di sapore, di odore. Restano, dunque, la figura, l’estensione, il movimento. L’Autore nega però che si possano intendere queste facoltà senza una sostanza alla quale ineriscano e che pertanto possano esistere senza la sostanza; il che ripete anche nella risposta al Teologo» (corsivo nostro).
Del resto, anche buona parte delle polemiche che hanno investito Galileo avevano a oggetto la dottrina delle qualità primarie e qualità secondarie (pensiamo ad esempio alle critiche mosse allo scienziato dal gesuita Orazio Grassi). Così si legge, a tal proposito, in un anonimo documento dell’epoca, ritrovato nell’Archivio della Congregazione per la Dottrina della Fede nel 1998: «[Galileo] erra dicendo che non è possibile separare concettualmente dalle sostanze corporee gli accidenti che le modificano, come la quantità e ciò che consegue alla quantità. Una tale opinione è del tutto contraria alla fede, come si vede nell’esempio dell’Eucaristia, in cui la quantità non soltanto si distingue realmente della sua sostanza, ma esiste anche separata da essa». Facciamo notare, en passant, che il punto di maggiore distanza tra Galileo e le autorità ecclesiastiche, non fu il copernicanesimo, come vuole la vulgata, ma il suo dichiarato atomismo, metafisica che contrastava con l’aristotelismo della filosofia e teologia scolastica. Nel famoso “caso Galilei”, allora, non si trattò solo di dispute cosmologiche ma di un confronto tra due metafisiche o filosofie della natura.
“Noi crediamo per fede che, tolta dal pane Eucaristico la sostanza del pane, rimangano i soli accidenti”

Discorso simile vale per Cartesio, il quale, sostenuto dall’amico e difensore padre Marsenne (lo stesso Arnauld simpatizzava per il cartesianesimo), tenterà di rispondere alle obiezioni mossegli sull’eucarestia. Del resto, il filosofo francese era assolutamente convinto che la sua filosofia potesse fungere da ponteggio metafisico per illustrare la plausibilità della transustanziazione meglio della scolastica (si veda ad esempio la lettera a Mesland del 9 febbraio 1645). Nelle sue risposte ad Arnauld, Cartesio dichiara l’impossibilità di potersi convincere riguardo alla dottrina degli accidenti reali, e afferma che la superficie del pane consacrato a contatto con il nostro corpo, non è che il termine medio che si frappone tra ciascuna delle particelle delle quali il corpo è composto e gli altri corpi che lo circondano, e pertanto non costituisce la sostanza, né la quantità del pane: «Infine si deve notare che per superficie del pane o del vino o di altro corpo qui non si intende una qualche parte della sostanza e neppure della quantità dello stesso corpo e neanche una parte dei corpi che la circondano, ma soltanto quel termine che si concepisce stia tra le singole particelle di questo corpo ed i corpi che le circondano e che non ha entità, se non modale».
Il problema mente-cervello
Non possiamo qui addentrarci in ulteriori dettagli sulla disputa eucaristica, che ha sullo sfondo gli scontri dottrinali tra cattolici e protestanti e che continuerà ben oltre Cartesio. Quel che è interessante, a nostro avviso, è anzitutto l’attualità del dibattito su qualità primarie e secondarie (che porta con sé la questione delle questioni: che cosa significa “reale”?). Nell’ambito della filosofia della mente, ad esempio, quella parte della filosofia che studia il rapporto tra le attività spirituali e il sostrato materiale, molte questioni girato attorno a questo tema. In un recente saggio, Come il cervello crea la nostra coscienza, il neuroscienziato Anil Seth afferma: «La posizione filosofica che preferisco, e che di base è assunta da molti neuroscienziati, è il fisicalismo. È l’idea che l’universo sia fatto di entità fisiche e che gli stati coscienti siano identici a, oppure emergano da, particolari composizioni di tali entità. Alcuni filosofi parlano di materialismo invece di fisicalismo, ma per i nostri scopi possono essere trattati come sinonimi». In base a tali assunti, la realtà comunemente chiamata “coscienza” e i suoi contenuti, quali colori, sapori, odori ecc., è causata, per Seth, da una certa disposizione della materia e a questa può essere ricondotta. L’esperienza qualitativa del mondo sarebbe il risultato dell’organizzazione quantitativa della materia. Il frame di tali affermazioni è assolutamente galileiano-cartesiano.
Altri studiosi, però, non accettano questo schema di ragionamento: se si parte dalla distinzione tra qualità primarie e qualità secondarie, provando a dedurre le seconde dalle prime, il fenomeno della coscienza resterà sempre non spiegato. Come sostiene un altro inglese, il filosofo Philip Goff, in L’errore di Galileo. Fondamenti per un nuovo studio della coscienza, la distinzione dell’inventore del metodo scientifico (che Cartesio sostanzialmente segue) crea una sorta di “fossato” tra gli aspetti quantitativi della realtà e quelli qualitativi. Poiché la coscienza è qualcosa che ha a che fare con fenomeni qualitativi (la rossezza che percepiamo di un pomodoro o il sapore che sentiamo quando si mangia cioccolato) e la scienza per definizione deve rinunciare a spiegare le qualità, ecco che il tema della coscienza o viene estromesso dalla ricerca scientifica oppure – ed è forse la strada maggiormente battuta – viene spiegata in termini prettamente fisicalisti, sacrificandone però proprio gli elementi più caratteristici, generando così un vuoto esplicativo o un “buco”, come si esprime Goff. È chiaro che nella prospettiva di quest’ultimo, ogni teoria della coscienza che non voglia replicare il “buco”, deve mutare almeno in parte il frame galileiano-cartesiano e ammettere come reali le qualità secondarie.
“Il fisicalismo è l’idea che l’universo sia fatto di entità fisiche e che gli stati coscienti siano identici a, oppure emergano da, particolari composizioni di tali entità“

Un altro elemento di riflessione che si può trarre dalla disputa richiamata, consiste nel pensare all’intersezione, che talvolta ha generato drammatici effetti, tra teologia, filosofia e scienza, propria della nostra tradizione. Oltre i rigidi steccati in cui una storiografia troppo semplicistica vorrebbe inquadrare la storia del pensiero moderno, i motivi teologici, filosofici e scientifici si sono incontrati, scontrati, in qualche caso mescolati, ora nella furia della polemica, ora in un dialogo più pacato, ma mai sono si sono dati in modo astrattamente separato e anche oggi motivi teologici fanno sentire la loro influenza. Giuseppe Ballo, ad esempio, in un’opera intitolata Aenigma dissolutum (composta tra 1610 e 1626), affermava che dopo la consacrazione, pane e vino cessavano di esserci e che la nostra percezione delle proprietà esterne di queste sostanze naturali era causata dal corpo e dal sangue di Cristo. Emmanuel Maignan, negli stessi anni, sosteneva che quando il pane e il vino sono svaniti, Dio produce nei nostri sensi le corrispondenti impressioni: per questo noi continuiamo a vedere del pane e del vino, pur non essendovi più del tutto né pane e né vino. In altri termini, per un’azione miracolosa, il soggetto vedrebbe ciò che letteralmente non è più dinanzi ai suoi occhi. Bene, come non cogliere la parentela tra queste spiegazioni e le posizioni più radicalmente neurocentriche in filosofia della mente, le quali sostengono che il “mondo esterno” sarebbe una ricostruzione operata dal nostro cervello sui segnali-input ricevuti? Il cervello, pensato come una “scatola magica” capace da sé solo di produrre il mondo esterno per un soggetto, in questo caso, non prende il posto che aveva Dio nelle teorie richiamate?
“Ogni teoria della coscienza che non voglia replicare il ‘buco’, deve mutare il frame galileiano-cartesiano e ammettere come reali le qualità secondarie”

È interessante notare, in ultimo, la necessità che animava i personaggi richiamati, di trovare una spiegazione razionalmente non assurda a una verità di fede. Ciò che supera la ragione – questo era l’assunto di fondo ̶ non dev’essere contrario alla ragione. Certo, nella tradizione cristiana è presente fin dagli albori la linea Credo quia absurdum attribuita a Tertulliano, tuttavia, specie in area cattolica, ha prevalso decisamente l’agostiniano Credo ut intelligam, intellego ut credam.