Possiamo definirlo come quell’ambito degli studi filosofici che prova ad applicare la strumentazione concettuale e i temi classici del pensiero alle varie espressioni della cultura di massa: stiamo parlando della cosiddetta pop-filosofia. Tommaso Ariemma, filosofo napoletano, classe 1980, ha arricchito tale ambito con alcuni lavori di successo di recente pubblicazione. In particolare, ha indagato il rapporto tra filosofia e serie TV in La Filosofia spiegata con le serie TV (2017). E’ da poco uscito il suo ultimo lavoro, Filosofia degli anni 80’. In poche battute, gli abbiamo chiesto di darci un assaggio dei temi di cui si sta occupando. L’estate è appena iniziata, e se volete dedicarvi a quella serie Tv per la quale non avete avuto tempo negli scorsi mesi, forse è bene sapere che esiste la possibilità che stiate per vedere qualcosa in più di un semplice prodotto d’intrattenimento.
L’ultimo suo lavoro è “Filosofia degli anni 80”, uscito da appena due mesi. Come mai gli anni 80? Cos’hanno di così interessante?
In primo luogo, e in modo paradossale, hanno d’interessante proprio il fatto che la tradizione filosofica non li abbia ritenuti interessanti, liquidando questi anni a decennio dell’edonismo, della volgarità e della leggerezza. Invece, secondo la tesi che il mio libro intende avanzare, gli anni ’80 sono anni decisivi: ridefiniscono per sempre il nostro rapporto con il corpo, con ciò che è reale, con il tempo e producono un immaginario così potente che non cessiamo ancora di consumarlo. I prodotti più complessi della cultura di massa contemporanea – come le nuove serie tv – non smettono di richiamare questa decade. Effetto nostalgia? Io credo di no. Penso si tratti di un’indicazione da non sottovalutare. A partire dagli anni ’80 niente è stato più come prima.
Il suo libro precedente è “La filosofia spiegata con le serie Tv”. È noto per essere il filosofo che cerca di insegnare a pensare usando Lost, Black Mirror e così via. Com’è nata l’idea di questo connubio, e come organizza concretamente le lezioni?
L’idea nasce anche grazie a una trasformazione avvenuta all’interno delle serie tv stesse. Serie tv come quelle citate fanno riferimento esplicito o implicito a filosofi, pongono questioni filosofiche, a volte giocano proprio con la filosofia. Questo curioso principio attivo, che a mio parere dà una marcia in più in termini di complessità alla serialità contemporanea, ha stuzzicato subito la mia didattica: tornato a insegnare a scuola dopo anni di insegnamento universitario (dove, tra le altre cose, avevo fatto ricerca proprio sulla struttura narrativa seriale) ho sfruttato questa componente filosofica in termini strategici, per far avvicinare i ragazzi di oggi alla filosofia. Ma non mi sono limitato ovviamente ad accostare in classe scene tratte dalle serie tv e teorie filosofiche. Dalle serie tv, dalla loro struttura, abbiamo “estratto” tutto il possibile: e così con i miei ragazzi ci esercitiamo, dopo aver visto come la Poetica di Aristotele lavori ancora all’interno delle narrazioni più recenti, a produrre dei racconti efficaci o video virali su tematiche di storia o di filosofia. Oppure a produrre dei contenuti “transmediali”, capaci di prolungare la narrazione o le riflessioni presenti all’interno di una determinata serie tv. E così via. Insomma, la classe diviene un ambiente di produzione e di postproduzione a tutti gli effetti.
Serie tv come quelle citate fanno riferimento esplicito o implicito a filosofi, pongono questioni filosofiche, a volte giocano proprio con la filosofia
Quali sono i filosofi o i problemi di carattere filosofico maggiormente presenti nelle serie che ha visto?
Prendiamo, per esempio, Il Trono di Spade: è difficile non vedere all’opera un trattato di filosofia politica. Che cosa sia il potere, ma soprattutto “dove” risieda, sono degli interrogativi costanti e molto ben approfonditi con dialoghi di grande spessore. Machiavelli e Hobbes sono dei riferimenti sempre presenti. Oppure, altra serie molto utilizzata nel libro e a scuola, Black Mirror: tutti i suoi episodi (più o meno riusciti) sono una riflessione visiva sul nostro rapporto con la tecnologia, riflessione che sarebbe piaciuta certo a Platone. Nel libro “La filosofia spiegata con le serie tv” esploro solo alcuni dei possibili spunti che possono sorgere quando cominciamo a guardare le serie per quello che sono: piccoli trattati filosofici in immagini-movimento. Nelle scuole il mio testo è utilizzato proprio come “avvio”, per portare i ragazzi (e tutti quelli che vogliono avvicinarsi in modo nuovo) alla filosofia
Si è da poco tempo è conclusa la quarta stagione della serie Gomorra. Su quali temi di rilevanza filosofica penserebbe di poter tenere delle lezioni a partire da questa serie?
Gomorra per me è una serie sul linguaggio, sugli effetti del linguaggio: un corpo sottilissimo e molto potente. Non è un caso che le parodie della serie puntino soprattutto su questo. Sulle parole, ma anche sui gesti come parole. In un secondo volume del libro, Gomorra sarà utilizzata per introdurre i sofisti e la loro abilità nel corrompere i giovani. I maestri dell’arte retorica. Gomorra è retorica allo stato puro.
Gomorra per me è una serie sul linguaggio, sugli effetti del linguaggio: un corpo sottilissimo e molto potente
All’inizio e alla fine di ogni stagione di Gomorra assistiamo alla stessa critica: la rappresentazione del male, genererebbe emulazione. Insomma, “Gomorra” sarebbe colpevole di mostrare modelli antropologici nocivi per i più giovani. Qual è la sua posizione a riguardo?
Sappiamo benissimo che non è così, che mostrare non vuol dire costringere. L’emulazione poi è un fenomeno complesso, che impensierì non poco un gigante come Platone. Quest’ultimo, com’è noto, condanna addirittura le opere di Omero, perché presentano eroi e divinità fragili, colleriche, lontano dall’essere modelli di riferimento. Ma è una condanna che non regge. Certo, l’emulazione è una potenzialità insita in ogni immagine. La libertà, invece, come diceva qualcuno, è la condanna di ogni uomo, che lo rende responsabile di ogni suo gesto. Verrebbe da dire “a buon intenditore, poche parole”, ma sarebbe superfluo. Perché quella delle poche parole e del loro intendimento è la filosofia interna proprio di Gomorra.