Anche se la frenesia dei centri commerciali, il linguaggio sterilizzato di qualcuno che vorrebbe dire “festa d’inverno” e l’invasione di elfi e babbi natale rischia di oscurarlo, il Natale resta quello che è: l’annuncio di Dio che si fa uomo in Gesù di Nazareth. “Il Logos si è fatto carne”, recita il Prologo del Vangelo di Giovanni. Il termine del testo greco che noi traduciamo con “carne” è sarx, parola che nel dizionario del nuovo testamento non indica semplicemente l’apparato fisico-biologico del corpo (che sarebbe piuttosto “soma”) ma qualcosa di più ampio: la realtà storica, finita, mortale, segnata dal male e dal peccato. Al centro di tutto sta la nascita di un bambino. A ben vedere, molte delle questioni più dibattute negli ultimi tempi, ruotano più o meno attorno allo stesso tema: il diritto ad avere un bambino, il diritto a non averlo, chi può mettere al mondo un bambino (una donna o una persona con utero?) e in quali circostanze (è giusto affidare la gestazione ad una donna che poi, in base ad accordi regolati da un contratto, cederà il bebè ad un’altra persona?).
Se non la risposta a queste domande, quantomeno lo sguardo corretto col quale guardarle, può venire da un’interrogazione più fondamentale: è giusto, in generale, mettere al mondo altri esseri umani? Dare la vita a qualcuno, significa davvero fargli un regalo, oppure condannarlo? Tutto sommato, se guardiamo il mondo intero, la quantità di dolore non supera quella di felicità? “Giudicare se la vita valga o non valga la pena di essere vissuta, è rispondere al quesito fondamentale della filosofia”, scrive Albert Camus in apertura del Il mito di Sisifo, uno dei testi chiave dell’esistenzialismo. Come ha messo in luce il filosofo francese Rémi Brague, tale domanda è concepibile pienamente solo sullo sfondo di un cambiamento intervenuto nella filosofia moderna: se la tradizione metafisica, infatti, ha affermato fin dai suoi inizi, l’equivalenza tra “Essere” e “Bene”, il moderno nichilismo non la pensa più così. La questione non riguarda soltanto la vita di chi già vive ma soprattutto il senso o non senso dell’atto del generare e la sua intrinseca moralità. Se esistere non è bene in sé, perché adoperarsi per la conservazione della vita dell’uomo?
Tale questione è al centro del cosiddetto “antinatalismo”, di cui il filosofo sudafricano David Benatar è uno degli esponenti interpreti più significativi. Secondo tale corrente di pensiero – che si riallaccia a Schopenhauer, Nietzsche o Cioran – esisterebbe un dovere morale a non procreare. Ogni essere umano, sostiene Benatar, è gravemente danneggiato dal fatto di essere messo al mondo e costretto a sopportare una quantità di dolore sempre superiore alla quantità di felicità. «Quale risposta si dovrebbe dare alla difficile condizione umana? Una risposta immediata è quella di desistere dal perpetuarla creando nuovi esseri umani che inevitabilmente incorreranno nella stessa condizione. Ogni nascita è una morte che attende di attuarsi». (D. Benatar, La difficile condizione umana. Una guida disincantata alle maggiori domande esistenziali, 2020)
Purtroppo, argomenta Benatar, la maggior parte degli uomini non scopre o non vuole scoprire questa verità: una sorta di bias cognitivo ottimistico ci fa vedere la nostra vita come migliore di ciò che è in realtà. In altri termini, per il filosofo sudafricano, «le auto-valutazioni delle persone sul proprio benessere sono indicatori inaffidabili della qualità della vita» poiché tendiamo a giudicare in modo eccessivamente positivo le nostre esistenze a causa di meccanismi psicologici che falsano la percezione della realtà, che nei suoi scritti il filosofo non manca di spiegare in dettaglio.
Ogni essere umano, sostiene Benatar, è gravemente danneggiato dal fatto di essere messo al mondo e costretto a sopportare una quantità di dolore sempre superiore alla quantità di felicità
Se la vita non ha alcun senso sub specie aeternitatis, è possibile però trovare un “senso terrestre”, tanto più difficile da raggiungere quanto meno circoscritta è la dimensione di senso cui facciamo riferimento. Quindi, nonostante la tragicità della nostra condizione, una volta (purtroppo) nati, non dobbiamo proporci di cercare la morte, almeno finché le condizioni di vita restano accettabili. Chi ancora non esiste, però, non ha alcun interesse nel venire al mondo. Ora, programmare l’estinzione dell’umana specie sarebbe l’esito migliore auspicabile. Dal momento che tale esito è alquanto irrealistico, il filosofo propone almeno una sorta di “antinatalismo moderato”, improntato a una certa prudenza procreativa
Le posizioni antinataliste prendono le mosse dalla radicale negatività del mondo, e così si connettono a una parte del nichilismo e dell’esistenzialismo moderni. In esse è possibile ravvisare, a mio avviso, uno gnosticismo di ritorno, cui Hans Jonas ha dedicato importanti ricerche nella seconda metà del ‘900. «L’uomo gnostico – ha scritto Jonas – è gettato in una natura antidivina e pertanto antiumana; l’uomo moderno in una indifferente. Solo quest’ultima significa il vuoto assoluto, l’abisso veramente senza fondo. […] Ciò rende il moderno nichilismo infinitamente più radicale e disperato di quanto sia mai potuto essere il nichilismo gnostico con tutto il suo orrore del mondo e la ribellione alle sue leggi. Che la natura non si dia cura è il vero abisso. Che solo l’uomo si dia cura, non avendo nella sua finitezza altro dinnanzi a sé che la morte, solo con la sua accidentalità e l’oggettiva insensatezza dei suoi progetti di senso, è realmente una situazione senza precedenti». Il portato propriamente “esistenziale” del nichilismo moderno consisterebbe, dunque, nell’indifferenza della natura nei confronti dell’uomo, ovvero in una differenza sostanziale che rende il primo termine intrinsecamente, vale a dire, ontologicamente, estraneo al secondo termine. Per questo l’essere umano – dovrebbe dire l’esistenzialista, secondo Jonas – non si trova gettato nella natura, bensì, piuttosto, «fuori dalla natura»: il suo essere non può riguardare più in alcun modo l’essere della natura. La reciproca estraneità tra uomo e natura, spinta fino a fare di quest’ultima una tragedia cui sarebbe stato meglio non appartenere, ci sembra essere anche il punto nevralgico delle analisi di Benatar. Nascere sarebbe un male in sé, secondo il filosofo sudafricano, perché la natura è oggettivamente priva di senso. Se accettiamo che l’essere coincida con la propria esistenza, e che questa esistenza non sia nient’altro che l’ottusità insensata del proprio mero esserci, l’esito probabile è un indebolimento progressivo della libertà nel volere sé stessa.
Appare dunque “logico” (ovviamente solo ad uno sguardo retrospettivo e ordinatore di fatti passati il cui sviluppo nulla avevano di necessario) che, una volta fuori dalla “gabbia” del regno della grazia (Dio, teologia) e regno della natura (Fondamento, metafisica), l’uomo moderno abbia puntato tutto sulla competenza nel costruire macchine. In questo campo creativo – come spiega bene Peter Sloterdijk nei suoi scritti – l’uomo ha potuto affermare la propria autonomia, libero dalla sudditanza al dover-essere della natura e a quello della passiva ricezione del dono di grazia da parte di Dio (quando i sostenitori della cosiddetta “gestazione per altri” affermano la liceità della trasformazione della maternità da qualcosa di ricevuto entro il perimetro di un certo dover-essere naturale, a qualcosa di acquisito, sono perfettamente allineati a tale decorso culturale).
Ciò che Sloterdijk, a mio avviso, non sottolinea a dovere, è che tale movimento di emancipazione porta con sé un approfondimento dell’alienazione ontologica che l’uomo prova nei confronti della natura: la soddisfazione del potere cibernetico ha un doppiofondo preoccupato e impaurito. Questi sentimenti possono di certo essere la benzina che fa gioco ai reazionari che demonizzano l’emancipazione illuminista, ma non devono neppure essere solo osteggiati. Essi ci dicono che prima di tutto il potere di controllo della cibernetica, la vita di ciascuno di noi si regge sul riconoscimento di un altro. Il potere delle macchine senza riconoscimento reciproco somiglia a quell’enorme “corpo planetario di macchine” privo di anima del quale ha parlato Henri Bergson, sotto il cui peso l’umanità rischia di essere schiacciata. Possiamo demistificare questo desiderio quanto vogliamo, possiamo calunniare l’umanesimo accodandoci così a uno degli sport più praticati dell’ultimo secolo, eppure l’esigenza resta lì: desideriamo il desiderio di un altro. E il riconoscimento lo si può solo dare in dono e ricevere in dono, non lo si può costruire, né estorcere: è una grazia, come sa chiunque venga riguardato con amore dall’amato almeno per un istante. La macchina non lo fa ancora, e non sappiamo se ne sarà mai capace.
Appare dunque “logico” che, una volta fuori dalla “gabbia” del regno della grazia (Dio, teologia) e regno della natura (Fondamento, metafisica), l’uomo moderno abbia puntato tutto sulla competenza nel costruire macchine
Il riconoscimento, dunque, poggia su una economia del dono, in cui debiti e crediti non possono essere mai in pari, altrimenti si introduce il seme della disfunzione. Cosa può dare una figlia o un figlio ai genitori per ripagare il debito di cura, pazienza e dedizione contratto verso di loro? D’altro canto, che razza di genitori sarebbero quelli che sventolano dinanzi ai figli il credito che possono vantare da loro? E non è forse impagabile il dono di una figlia o un figlio che, messo al mondo, rimette al mondo i propri genitori? Padri, madri e figli si riconoscono a partire da questo sistema di debiti che non si devono ripagare e crediti che non si devono esigere, pena il collasso del sistema. Siamo qui dinanzi al gioco originario delle libertà, in cui diritti e doveri reciproci non sono imposti dall’esterno ma nascono dall’interno della relazione con il riconoscimento che le parti si concedono vicendevolmente. Per questo un figlio non può essere né un diritto da pretendere a tutti i costi dallo Stato, né un dovere imposto dallo Stato (“dare figli alla Patria”): in entrambi i casi si tradisce completamente la natura del fatto. Il Natale dice che Dio stesso, in qualche modo, vuole essere riconosciuto dall’uomo e amato liberamente, non dunque perché sia nostro dovere (e lo sarebbe, in un’ottica religiosa s’intende) né perché sia suo diritto (e, di nuovo, in un’ottica religiosa lo sarebbe). Dio, in quanto “Sommo Ente”, avrebbe in altre parole potuto seguire la logica di questo mondo e far valere il suo peso ontologico, richiamandoci al nostro dovere di obbedirgli e al suo diritto di essere obbedito: è o non è il Re dell’universo? E invece il “Lei non sa chi sono Io” non gli si addice: nasce come un bimbo marginale che chiede di essere riconosciuto in modo assai sommesso. In aggiunta, nasce all’interno della catena del “dover-essere” naturale: non compare dal nulla, non scende dal cielo come un asteroide. L’artefice dell’universo non arriva nel mondo come un artificio: chi lo incontra vede proprio un bambino, non una sorta di essere bionico.
Dal complesso delle cose dette fin qui, possiamo dunque ricavare che “grazia” e “natura” non sono prigioni dalle quali fuggire. Lo diventano se le ipostatizziamo come grandi “no” alla nostra libertà, se le strumentalizziamo per fini ideologici (ed è stato fatto). Se invece attingiamo il loro nucleo profondo, “grazia” e “natura” sono le due dimensioni in cui l’Alterità si annuncia come irriducibile. La grazia e la natura sono “la scopa nel sistema”, per citare David Foster Wallace, che ostacola il ripiegamento autistico del singolo e dell’umanità e i pericolosi deliri conseguenti. Non avremo nessuna civiltà delle macchine senza queste due componenti ma solo macchine senza civiltà.
L’antinatalismo ha il grande pregio di portare a galla tutta questa massa di questioni. Evasi dalla grazia e dalla natura, la libertà dell’uomo di farsi da sé senza alcun referente fuori di sé, può trovare, alla fin fine, validi argomenti per perpetuare sé stessa? L’estremo omaggio a sé non è proprio l’auto annichilimento? La ragione, purtroppo, chiede sempre una fondazione, per quanto rivedibile all’infinito.
Giunti a questo punto, allora, possiamo riformulare quanto diceva Camus. Certo, giudicare se la vita valga o no la pena di essere vissuta è un problema altissimo, ma non quanto il giudicare se debba o non debba essere data ad altri. Visto il mondo e quanto contiene, visto il suo carico di sorrisi e lacrime, di abbracci e dolore, vista la serenità di amici che si vogliono bene e le fosse comuni, viste le prigioni sotterranee, i reparti di oncologia pediatrica e i popoli che vivono, s’innamorano e sperano, è bene o no che il mondo esista? Questa è la domanda.
Il Natale ci invita a scommettere sulla bontà originaria dell’esistenza umana perché Dio stesso la assume e la porta con sé nel grembo della propria vita. Tale bontà non si deduce a tavolino come un teorema di geometria ma si può intuire a partire dal riconoscimento dell’altro (il mondo e il tu), se e quando la libertà si apre a un “fuori”. È un’opzione fondamentale dello spirito, una scelta. La cosa più sorprendente (e sconvolgente) è che Dio stesso sceglie di avere un “fuori”, un altro da sé, e dona a quest’altro da sé la libertà di non riconoscerlo (“Venne tra la sua gente, ma i suoi non l’hanno accolto” dice ancora il Prologo giovanneo). A Natale, insomma, scopriamo Dio fuori posto. “Ma come può l’Assoluto, se tale è, avere qualcosa fuori da sé?” chiede la ragione logico-formale. Domanda seria, che però non chiude la partita, semmai la apre, a meno di non voler imitare certi filosofetti che confondono il pensare col risolvere i rebus della settimana enigmistica.
Ottimo testo. Attento al tema della nascita di cui mi sono occupato ampiamente nei miei ultimi tre volumi sul tema (l’ultimo appena uscito ovvero Storia della filosofia della nascita II)
complimenti
Silvano Zucal
Преди време осъществих пътуване с Мистрал Травел и останах много удовлетворена! Организацията беше безупречна – от резервацията до самото пътешествие. Избрах туристическа програма до Златна Прага и всичко беше изпълнено с професионализъм – хотелът беше комфортен, гидът много компетентен, а планът за пътуването завладяваща и добре структурирана. Благодарение на тях имах възможност да се насладя на културата и красотата на града без излишни проблеми. С удоволствие бих се доверила на Мистрал за в бъдеще и препоръчвам на всички да изберат техните предложения!
Сколько стоит металлокерамика.
Коронки металлокерамика Минск Коронки металлокерамика Минск .
Как выбрать правильный протез для зубов, на которые стоит обратить внимание.
Стоматология протезирование зубов Минск https://www.belfamilydent.ru/services/protezirovanie-zubov/ .