Monologhi

La paralisi della democrazia e il “decisionismo alla Salvini”

Scritto da Nunzio Bombaci

Ospitiamo un articolo inviatoci da Nunzio Bombaci sulla situazione politica attuale.

Nel nostro Paese, il recente Ferragosto è stato segnato dalla crisi del governo Conte, “infilzato” dalla mozione di sfiducia presentata da Matteo Salvini, suo componente più discusso, in vivo come in rete. In seguito alle note vicende, si è costituito il governo Conte bis, esito di un faticoso accordo tra M5S e PD.

 In un clima convulso, è terminato così il percorso di un Governo scisso al suo interno sino alla schizofrenia. Nessuno rimpiange i dissidi tra Di Maio e Salvini, comunque nelle attese per la fragilità del contratto tra M5S e Lega su cui era fondato quell’Esecutivo. In tale contesto suonavano irreali le rassicurazioni del premier Conte, che sino all’inizio di agosto parlava di un “dialogo franco” tra le due ali del Governo. Verso Ferragosto, finalmente, Conte ha dismesso il concordismo che aveva sfoggiato in precedenza.  Accompagnato dal “nun te reggae più” pronunciato – o pensato – da milioni di italiani, si è quindi defilato un Governo la cui origine remota risaliva a un’interiezione ed a un’invettiva, ovvero ai celebri “Vaffa!” e “Roma ladrona!”   

Nel governo M5S-Lega, il continuo rilancio dei ricatti reciproci aveva condotto fin quasi alla paralisi dell’attività del Parlamento e dello stesso Esecutivo. Basti pensare alle logomachie relative al TAV. Va aggiunto che i Governi precedenti (se si esclude l’attivismo-capestro del governo Monti), non hanno certo brillato quanto a concordia interna, percezione dei problemi reali e capacità operativa.

A. Lorenzetti, Allegoria del Cattivo Governo

Si comprende pertanto che l’inconcludenza della politica italiana dell’ultimo decennio – ancor più eclatante se comparata alle roboanti promesse preelettorali dei vari leader – ha accentuato il disinteresse, già diffuso, per la politica stessa. In molti, anzi, il disinteresse ha lasciato il posto al disgusto e all’astensionismo. Sempre in tale contesto, in una percentuale non trascurabile di italiani si è affermato il desiderio di un regime in qualche misura autoritario, in cui uno solo o un piccolo gruppo di persone compia scelte politiche univoche in tempi brevi, quale via d’uscita dall’impasse istituzionale. In passato, una situazione siffatta avrebbe potuto preparare il terreno ad uno Stato fortemente autoritario con pretese totalitarie (come il fascismo e il franchismo) o senz’altro totalitario (quali il comunismo e il nazismo). E il possibile si è tradotto in realtà, ad esempio, nella Germania di Weimar, incunabolo del nazionalsocialismo. Inoltre, in quegli anni Trenta, persino in uno Stato liberale come la Francia il totalitarismo riscuoteva una certa simpatia in alcuni intellettuali.   

Va aggiunto che, durante gli anni Trenta nell’Italia mussoliniana e seppure in tempi di autarchia, un potere fortemente accentrato aveva promosso una serie di riforme che miglioravano le condizioni delle classi popolari. Ai nostri giorni, tra la gente semplice del nostro Sud, i più anziani amano ricordare, piuttosto che l’esiziale politica estera di Mussolini, quel fascismo che nell’arco di pochi anni aveva costruito una parte delle opere che la precedente politica liberale non aveva realizzato in mezzo secolo. Tra queste, la bonifica delle paludi pontine, nuove linee e stazioni ferroviarie, scuole, edifici pubblici (anche al Sud). Né vanno dimenticate le numerose riforme poste in essere nel Ventennio, tra cui la riforma Gentile della scuola, l’ottima legislazione bancaria del 1936, l’ampliamento della platea degli aventi diritto alla pensione etc. Si comprende allora come, segnatamente nel Meridione, sussista una percentuale significativa di persone – soprattutto tra i ceti più poveri – per le quali persino un regime tendenzialmente autoritario, e molto più rigoroso nella legislazione penale, sarebbe preferibile all’attuale democrazia parlamentare.

Ai nostri giorni, riscontriamo tratti di autoritarismo nelle parole, nell’operato e nelle “predilezioni” già manifestate da Matteo Salvini nel ruolo di Ministro dell’Interno, tali da inquietare coloro che non hanno ancora rinunciato al pensiero critico. Tali predilezioni vanno ai gruppi della destra estrema e al cattolicesimo devozionale e tradizionalista. Al riguardo, impropriamente, qualcuno paventa il rischio di una “deriva fascista”. Invero, in una società complessa come l’attuale è inconcepibile l’avvento di un regime simile a quello realizzatosi nell’Italia de. Anche Giorgio Almirante, già quarant’anni or sono, riteneva ridicolo un ipotetico ritorno al fascismo. Piuttosto – e a prescindere dalle sorti della Lega – se nel prossimo futuro si formeranno ancora Governi minati dai contrasti interni e Camere ingessate da procedure elefantiache, non è improbabile che nell’elettorato (soprattutto del Mezzogiorno, come si è detto) vada crescendo la “voglia di autoritarismo”. Inoltre, non è impossibile che questo o quel nuovo leader si senta investito della missione di soddisfarla ultra petita e, parallelamente, un gruppo di intellettuali partorisca una teoria politica che ne legittimi le pretese. Si tratterebbe di una teoria e di una prassi in certa misura “decisioniste”. Ricordiamo che il decisionismo è una teoria elaborata dal politologo Carl Schmitt nella Germania degli anni Venti e Trenta del secolo scorso, declinata in modo originale dal filosofo Ernst Jünger, e funzionale – almeno per alcuni anni – alla legittimazione del regime hitleriano, sorto peraltro in virtù di elezioni indette in una Repubblica pluralista. Nelle situazioni di eccezione, quella teoria riconosce a chi detiene l’autorità il potere di decidere, libero da qualsivoglia vincolo istituzionale. Pertanto, il decisionismo rimette l’intera vita politica di un Paese alla volontà insindacabile – o, meglio, all’arbitrio – di un leader carismatico.

Nel nostro paese uno dei primi studiosi del decisionismo è stato Gainfranco Miglio, ideologo della nascente Lega Lombarda. Per converso, il “decisionismo alla Salvini” è allergico alle formulazioni teoriche. Si tratta di un decisionismo velleitario, “frugale”, prodigo di slogan intolleranti e sovranamente ignaro delle regole.

Può darsi che nell’Italia dei prossimi anni, se non si interrompe la sequela di Governi incompetenti quanto inconcludenti, si vada affermando per contrappasso un “decisionismo” siffatto, e anche peggiore, perché promosso da lobbies o politici più intelligenti di Matteo Salvini, e supportato da costrutti teorici meno fragili dei suoi nonché da un malcontento popolare ancora più esteso e aggressivo che ai nostri giorni.

Nunzio Bombaci, autore dell’articolo

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