Racconti

LA SORELLANZA #2 – SUOR GIOIA

Scritto da Damiano Bondi

Se suor Angelica è il bue, suor Gioia è l’asinello. Tanto tenace e metodico, quanto buffo, spensierato e un po’ ingenuo. Per suor Gioia ancora Eva non ha colto la mela: lei vede in ogni uomo l’immagine divina, e non la caricatura satanica. Riesce a scorgere in ogni creatura umana quella bellezza più originale del peccato. “E vide che era cosa buona”, questo potrebbe essere il suo tatuaggio ideale, se mai volesse farsene uno: non è il tipo, ma potrebbe comunque inciderlo sulla sua chitarra. Perché suor Gioia, ovviamente, suona la chitarra, specialmente alla messa. Il suo stile è quello tipico postconciliare della papa-girl, ma senza quell’ostentazione pop che accomuna i concerti nei palazzetti alle messe negli stadi: a suor Gioia viene spontaneo lodare il Signore in giri di Do. È, si direbbe, un prodotto naturale dello spirito del Concilio, un frutto “bio”, senza additivi. Certo, sul ritmo deve ancora lavorare un po’: tende a rallentarlo quando il tono si fa cupo (“Una notte di sudore….”), e a velocizzarlo quando vira verso l’ottimistico (“Ma una voce che ti chiama…”). Diciamo che suor Gioia si concentra sulla melodia, dà la priorità al canto: questo rispecchia la sua natura essenzialmente lirica.

Capita a volte di trovarla a passeggiare, la mattina presto, all’ombra dei grandi alberi che incorniciano l’antica strada dei Sette Ponti, e sembra un po’ come Biancaneve quanto canta con gli uccellini, e un po’ come san Francesco quando ammansisce i lupi. Ecco, tra queste due immagini, l’una secolare, spensierata e patinata, e l’altra sacrale, semplice e povera, sta suor Gioia: un piede nelle ballerine, l’altro nel sandalo.

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Damiano Bondi

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