Alla Sorellanza non c’è un sacerdote fisso. La chiesetta di San Miniato, infatti, negli anni è stata affibbiata dal Vescovo a diverse parrocchie, e quindi a diversi parroci, i quali in questo modo non si sono mai potuti veramente affezionare ad essa. Di conseguenza, capita spessissimo che suor Angelica, il sabato se non la domenica mattina, debba sfoderare le sue infinite conoscenze per racimolare un prete. Poi, magari, se ne presentano ben tre per il pranzo. Se potesse, ovviamente, suor Angelica celebrerebbe lei stessa la messa, e certo una parte di lei segretamente lo desidera. Ma in questo caso la tradizione previene la sua tentazione di onnipotenza.
In tutta questa situazione piuttosto disagiata, c’è però un lato positivo, quantomeno divertente: con così tanti sacerdoti diversi, vi sono tantissimi aneddoti da raccontare sulle loro performances dall’altare.
Una volta, ad esempio, un prete che evidentemente stava pensando ad altro, nel momento della Consacrazione declamò che il Cristo, «dopo aver mangiato con loro, prese il calice, lo spezzò…» (consapevolezza nei suoi occhi, momento di panico assoluto, lampadina che si accende) «…ne prese un altro, e disse: prendete e bevetene tutti». Una soluzione magistrale. Spettacolare sto Gesù che prima spezza i calici tipo Hulk e poi se ne fa passare degli altri di scorta arrivati da chissà dove!
Un’altra volta invece fu chiamato a celebrare un sacerdote che viveva isolato sui monti, in una piccola chiesetta ancora più piccola di San Miniato, e che aveva un’indole misticheggiante assolutamente fuori luogo tra le mura rustiche della Sorellanza.
Suor Agnese represse le risa per tutta la messa – per lo più cantata, tra candele accese ovunque e formule spiritualiste riguardanti il «Dio onnicomprensivo e toti-inglobante» –, ma quando, a celebrazione ormai conclusa, il celebrante si affacciò sul sagrato ed attaccò una ulteriore benedizione invocando addirittura l’Angelo della Terra, suor Agnese proruppe in una risata così fragorosa che davvero la Terra sembrò tremare. Inutile dire che l’atmosfera, a quel punto, ne risultò compromessa per sempre. Il prete rientrò in chiesa, si cambiò d’abito, e fu visto sparire nella sua automobile, in incognito. Mai più è tornato da questi materialisti della Sorellanza.
Ma a riprova di quanto il feeling sororale sia importante, racconteremo quest’ultimo episodio.
L’incaricata alla preparazione dell’occorrente per la messa è suor Agnese: sistema l’altare con candele e fiori, prepara patella, calice, ampolle e via dicendo. E così fece quel giorno. Se non che un demonietto, un bimbo o un caso fortuito determinarono la presenza, nell’armadio della sagrestia, di una bottiglia di un liquido dello stesso identico colore del vin santo, che fu quindi prontamente versato nell’apposita ampolla, la quale per lo stesso volere satanico, puerile o fatale, si trovava quel dì ad essere vuota.
Il malcapitato sacerdote era un tipo tondo e rubicondo, dall’accento non toscano, alla sua prima esperienza alla Sorellanza. Quando avvicinò alla bocca il calice, e bevve un generoso sorso del contenuto, in un solo secondo il suo volto divenne di fuoco. Cercò allora di deglutire, e fece cenno a suor Agnese di avvicinarsi. Credendo di parlare sottovoce, nella foga del momento, si fece invece udire da tutta la chiesa: «Sorella, ma questo… è cognàc!!» (con l’accento sulla “a”). In un attimo pure il volto di suor Agnese divenne rosso, e suor Angelica stava già per piegarsi in due dal ridere, quando, prontissima, suor Gioia attaccò la prima canzone disponibile del canzoniere: non c’entrava niente con quella parte della messa, ma riuscì comunque nell’intento di salvare il salvabile, facendo poi proseguire il rito.
Finita la celebrazione, le sorelle si profusero in moltissime scuse al sacerdote, ipotizzarono le più incredibili cause per la presenza del cognac in sagrestia (da una rivalsa del contadino produttore ad un invecchiamento degenere del vin santo stesso), e si impegnarono in una seria disquisizione teologica sull’effettivo valore sacramentale del liquido consacrato… ma quando i loro sguardi si incrociavano, fosse anche per caso, i loro volti si deformavano sotto gli spasmi di risate a stento trattenute; e forse anche Qualcuno dall’alto, in quel momento, stava sorridendo di gusto.