Recensione di: D. Breschi, Yukio Mishima. Enigma in cinque atti, Luni Editrice, Milano 2020
Un intellettuale appassionato. Questo era Yukio Mishima, questo è Danilo Breschi, e questo è il Mishima di Danilo Breschi. Sin dalle prime pagine siamo invitati a penetrare in un labirinto intricato, alla ricerca di un centro che sfugge sempre, e che pure costituisce il fuoco che attrae Breschi e i suoi lettori: decifrare l’“enigma” Mishima.
Breschi ci prova in ogni modo, con le armi del distaccato specialista accademico e con quelle dell’amante sincero, parlando di Mishima e facendo parlare lui stesso; ma sin dalla prima pagine è consapevole dell’impossibilità di riuscire nell’intento. Mishima è sfuggente, paradossalmente paradigmatico, massima espressione di quella sensazione di grandissima vicinanza e al contempo profonda incomprensibilità che si prova talvolta nell’avvicinarsi alla cultura nipponica e ai suoi prodotti. Mishima ci ricorda certo i nostri grandi scrittori occidentali, ma ci è anche assolutamente estraneo, come un samurai. Mishima grida al mondo che una vita romantica non è per tutti, che per essere autentica deve essere vissuta come una missione dolorosa, una via estrema. Quanto avrebbe riso dei nostri dandies dell’apericena! Quanto avrebbe deriso chi si atteggia a trasgressore sociale sulle bacheche dei social!
Non ci si può appropriare di Mishima, a meno di lacerarlo e di prenderne quindi una sola parte, ritagliata dall’intero a seconda dei più disparati intenti ideologici: avremo così – e abbiamo avuto – un Mishima filonazista, un Mishima icona gay, un Mishima nazionalista giapponese, un Mishima globalizzato, un Mishima anticapitalista, un Mishima lirico, un Mishima cinico, un Mishima ostentatamente muscoloso, un Mishima delicato come un fiore di ciliegio. E sarà giocoforza impossibile, partendo da questi Mishima parziali e partigiani, giungere all’intero. Breschi tenta allora il movimento inverso: assumere come punto di partenza che Mishima è un mistero insolubile, e allora, solo allora, cercare di approssimarvisi, descrivendone ora una sfumatura ora un’altra, ora un lato oscuro che si illumina, ora uno adamantino che si adombra.
In questa circumnavigazione, come lui stesso la chiama, Breschi segue un’andatura intermittente, tra poetici tratteggi di stati d’animo e precise citazioni a piè di pagina, tra improvvise puntate in folgoranti pagine mishimiane e grandi voli d’angelo che connettono l’autore giapponese ad altre grandi figure della letteratura e del pensiero mondiale (Proust, Dostoevskij, D’Annunzio, Nietzsche, e molti altri). Persino la scansione dei capitoli è irregolare, consapevolmente “a rovescio”, provocatoria come Mishima stesso: si parte dall’epilogo suicida della vita dell’autore, da quel suppuku fuori tempo massimo, così inaspettato eppure al contempo così coerentemente ineluttabile, e si finisce con la visione profetica di quella stessa fine che genialmente Breschi ravvisa in una lettera giovanile di Mishima al suo mentore Kawabata – «non verrà forse il momento in cui sarò costretto alla dolorosa scelta di realizzare, al di fuori dell’ambito della letteratura, le mie fantastiche, letterarie visioni?» (p. 195).
In mezzo a questi estremi, tre macromolecole tematiche che Breschi alchemicamente distilla dal mare magnum della produzione dell’autore, e che artisticamente tratteggia con sapienti pennellate, attingendo più volte direttamente alla tavolozza policromatica dei capolavori mishimiani. Siamo così accompagnati attraverso alcune delle pagine più belle della letteratura di tutti i tempi e luoghi, e a volte ci si sente quasi indebitamente intromessi in un rapporto intimo tra due persone, l’autore italiano e l’Autore giapponese. Ma l’amore di Breschi per Mishima, come ogni passione autentica, non ha niente di ideologico o possessivo, e perciò Breschi può infine donarlo interamente al lettore, come un invito appassionato a proseguire personalmente il viaggio intorno all’enigma. Viene davvero voglia, leggendo il Mishima di Breschi, di prendere un volume di Mishima, anche a caso, e di perdersi e ritrovarsi nelle sue pagine. Se anche io con questa recensione avrò fatto venir voglia ai lettori di aprire il volume di Breschi, beh, mi considererò altrettanto soddisfatto. E anche i lettori lo saranno.