Monologhi

Qual è la forza del centrodestra?

Scritto da Alfonso Lanzieri

Pubblichiamo il contributo di Luca Ferrara, dottore di ricerca in Filosofia, ricercatore e docente nei Licei

Perché il Governo Meloni è così solido? Quali sono le ragioni della forza centripeta capace di tenere insieme gli isterismi di Salvini, le gaffes di Del Mastro, le giravolte di Meloni, le truffe dell’azienda della Santanché, la flemma di Tajani? Perché i leader di centro-destra possono dire tutto e il contrario di tutto senza temere nessuna smentita? Sono queste le domande da cui dovrebbe partire un’analisi realista della tenuta di tutti i governi di centro-destra, tranne il Berlusconi I. Beh in primo luogo si dovrebbe partire da una forte somiglianza ideologica dei politici di centro-destra nell’opporsi a un nemico comune, che grazie a Berlusconi iniziarono a utilizzare un lessico improntato alla costruzione di una forma di anticomunismo fuori tempo massimo (nel 1994 il muro di Berlino era crollato già da cinque anni e l’Urss era collassata da tre), capace di generare una mitologia di luoghi comuni che all’epoca si tradusse in slogan efficaci, recepiti velocemente dall’opinione pubblica. Ma alla pars destruens, il primo Berlusconi affiancò anche un vocabolario agile, che rinviava ad una serie di idee chiare – libertà, lavoro, casa – capaci di intercettare il sentiment di una fetta di elettorato che negli anni del riflusso era ormai lontano da ogni forma di ideologia. Se è pur vero che il presidente del Milan ebbe la capacità di coalizzare un coacervo di formazioni partitiche diverse e per certi aspetti anche opposte tra loro – basti pensare alla distanza che all’epoca c’era tra la Lega di Bossi e il Movimento Sociale italiano di Fini intorno ai concetti di patria e nazione – contro un nemico comune, ebbe, altresì la capacità di indicare un progetto politico liberale e liberista per il futuro dell’Italia, progetto che, ahimè, tale rimase. Quando si tornò alle elezioni politiche, nel 1996, la coalizione di centro-sinistra diede prova plasticamente della sua grande eterogeneità: più che una coalizione, i partiti che la componevano sembravano una improbabile armata Brancaleone, incapace di perseguire qualsiasi progetto politico di vasto respiro.

Il primo Berlusconi affiancò anche un vocabolario agile, che rinviava ad una serie di idee chiare – libertà, lavoro, casa – capaci di intercettare il
sentiment di una fetta di elettorato che negli anni del riflusso era ormai lontano da ogni forma di ideologia


Negli anni del primo Governo Prodi emergevano le profonde divergenze dei partiti della coalizione
di centro-sinistra, divergenze di visione in materie portanti per l’assetto istituzionale di un paese moderno come l’Italia, quali, ad esempio, la politica economica o la politica estera. Ma non c’erano le medesime differenze nel centro destra? E allora perché a partire dal secondo Governo Berlusconi non emersero? In primo luogo, la coalizione di centro-destra si riconosceva nel suo leader, ma in pari tempo, ed è qui la vera forza del centro destra, il suo elettorato si andava, lentamente, uniformando. E come se la semplicità delle idee di Berlusconi, rendendo più fruibile l’offerta politica del centro destra per un pubblico più vasto, avesse dato identità e voce a un elettorato, composto prevalentemente dal ceto medio, di quel composito mondo della piccola e media borghesia impegnata, tanto nel vasto tessuto produttivo dell’impresa italiana quanto nella poliedrica realtà del commercio al dettaglio e del mondo dell’artigianato. Era, insomma, quella parte del Paese che, disorientata dopo tangentopoli, andava alla ricerca di un interlocutore capace di misurarsi con le sfide economiche che i nuovi scenari mondiali andavano presentando. Inoltre, Berlusconi negli anni del suo ultimo Governo era stato bravo e capace, comunicando (va sempre ricordato le vittorie politiche di Berlusconi furono sempre vittorie prima di tutto della sua comunicazione, scandita da messaggi chiari e slogan efficaci) al suo elettorato che i problemi del Governo nascevano da un nemico esterno all’Italia, il quale lo aveva ostacolato nella realizzazione del suo programma. Chi era quel nemico che si palesava all’orizzonte, che avrebbe alimentato il sovranismo montante? Era l’Unione Europea, che, insieme ai mercati finanziari, era considerata la principale responsabile dell’aumento massiccio dello spread nell’estate del 2011 e delle conseguenti dimissioni di Silvio Berlusconi dalla carica di Presidente del Consiglio, non certo l’incapacità del centro-destra di mettere mano alla spesa pubblica.

Ora gli elementi politici che caratterizzavano la prassi politica berlusconiana – abilità nella gestione della informazione politica, capacità di empatizzare con il proprio elettorato, costruzione di una mitologia negativa sui palazzi europei e sui presunti complotti, falsificazione dei dati reali, oltre al forte carisma personale – permangono nell’attuale compagine politico-istituzionale del centro-destra. Non è stata forse la campagna elettorale dei leader di centro-destra una campagna contro l’Unione europea e contro le leggi dei governi tecnici? Ma c’è un aspetto dirimente tra quel centro-destra e l’attuale centro-destra oltre la mancanza di Silvio Berlusconi? Sembra che l’attuale coalizione governativa si vada differenziando per una maggiore semplificazione ideologica: le distanze tra i tre leader dell’attuale maggioranza di Governo non sembrano così forti, anzi spesso le loro voci appaiono come un medesimo motivo musicale, cantato solo ad altezze differenti. Parimenti il loro elettorato, assume sui social sempre più dei tratti identitari, alimentato da un mainstream sovranista, che giudica positivamente qualsiasi posizione ideologica della destra internazionale, che non batte ciglio su qualsiasi forma di provocazione o di idiozia espressa da un leader di destra. Come è possibile che nessun leader della destra italiana abbia criticato Trump per le sue posizioni razziste o per i suoi gesti, a volte anche disgustosi, commessi nella campagna elettorale (si ricordi solo per citare un esempio l’imitazione del gesto sessuale della fellatio con un microfono) o per la sua scellerata politica economica? Ma, nel medesimo tempo, bisogna chiedersi come è possibile che nemmeno gli elettori italiani del centro destra abbiano preso le distanze da vere e proprie assurdità dei loro leader italiani (si veda Salvini sul caso Vannacci) o da un leader come Orban, che limita la democrazia e i diritti civili. Ma la forza elettorale di questa attuale coalizione non rischia di diventare una forma di debolezza? L’assenza di spirito critico, l’incapacità di valutare leader e idee diverse e distanti non rischia di rendere l’azione politica una densa melassa dove tutto si mescola e niente si comprende?

Bisogna chiedersi come è possibile che nemmeno gli elettori italiani del centro destra abbiano preso le distanze da vere e proprie assurdità dei loro leader italiani

Quale opinionista di centro destra, ad esempio, ha fatto autocritica sulla triste vicenda di Bibbiano,
sulle diciannove assoluzioni di Bassolino o sulle accuse rivelatesi false sulla figura di Renzi? Nessuno. La sensazione di un osservatore attento è che manca in Europa e in America una destra liberale e liberista, una destra capace di incidere nel tessuto produttivo di una nazione riducendo le tasse e tagliando le spese della burocrazia; manca una destra orgogliosa e desiderosa di affermare la civiltà occidentale, proteggendola, sia culturalmente, finanziandone la cultura, sia militarmente, se necessario, ricorrendo anche alla forza; manca una destra amante dei diritti individuali della persona, ma soprattutto capace di fare del dovere un ideale; manca forse, in questo secolo, una vera e propria destra…

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Alfonso Lanzieri

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